Competitività, innovazione e resilienza delle imprese italiane.

Competitività, innovazione e resilienza delle imprese italiane.

La buona performance dell’economia italiana registrata negli anni che hanno fatto seguito alla crisi pandemica trova spiegazione nei fondamentali del nostro sistema imprenditoriale che si è dimostrato particolarmente reattivo sul versante dell’internazionalizzazione e dell’innovazione. Anche le caratteristiche dimensionali, generalmente considerate un elemento di debolezza,  hanno consentito una certa flessibilità nell’adattarsi ai mutamenti del quadro economico mentre non sembrano aver limitato la capacità di innovazione. E’ questa la sintesi che è possibile trarre dal rapporto annuale 2023 dell’Istat sulla situazione del paese.

Il rapporto sottolinea come l’economia italiana si avvantaggi innanzitutto della grande diffusione delle sue imprese.  Con oltre 3,6 milioni di aziende, pari al 16 per cento delle imprese dell’industria e dei servizi di mercato residenti nell’Ue27 nel 2020 , il nostro sistema produttivo ha una presenza di aziende superiore a Francia, Spagna e Germania. La maggiore diffusione sconta tuttavia una dimensione media inferiore (4 addetti) a quella europea (5,5) e ben distante dal dato tedesco di 12 addetti per impresa. Ciò si riflette sulla quota di valore aggiunto prodotto dalle piccole e micro-imprese  – rispettivamente il 25 per cento e il 20 per cento – che risulta sensibilmente superiore alla media dell’Unione e dei singoli paesi considerati.

Al pari delle grandi imprese anche le piccole mostrano una spiccata vocazione all’esportazione, così che la distribuzione del valore delle esportazioni nazionali per classi di grandezza appare meno polarizzata rispetto agli altri paesi europei. Spicca in particolare il dato relativo alle esportazioni delle imprese con un numero di addetti compreso tra 50 e 249 che, in rapporto al fatturato, raggiunge circa il 35% in Italia rispetto a poco più del 10% di Francia e Germania.

Se si fa riferimento al settore manifatturiero, quello con la maggiore vocazione all’internazionalizzazione, l’incidenza delle imprese attive sui mercati esteri cresce con la loro dimensione e nel caso italiano la quota delle medio grandi imprese esportatrici sul totale della classe dimensionale supera il 90%, mentre appare rilevante (oltre il 50%) e superiore a Germania e Francia anche nelle piccole imprese (10-49 addetti).

Un contributo rilevante ai volumi e alla crescita delle esportazioni è offerto dalle imprese che appartengono a gruppi multinazionali sia di proprietà estera che italiana: circa 9000 imprese, pari al 13% del totale, in grado di generare oltre il 70% dell’export e circa l’80% dell’import.

In un contesto produttivo come quello italiano caratterizzato dalla diffusa presenza di piccole imprese è normale riscontrare un livello di investimenti innovativi inferiore a quello di sistemi dove la grande dimensione consente di sostenere le spese per la ricerca e lo sviluppo di nuovi processi e prodotti. Tuttavia nel decennio 2011-2021, l’incidenza sul Pil della spesa in R&S in Italia è cresciuta dall’1,20 all’1,48 per cento, pur non recuperando il divario rispetto alla a media Ue, la cui incidenza è salita nello stesso periodo dal 2,02 al 2,26 per cento.

Anche nel periodo contrassegnato dalla crisi pandemica le imprese hanno continuato a investire prioritariamente sulla R&S che si è confermata la voce principale degli investimenti per l’innovazione, con una quota percentuale in aumento di 13,7 punti rispetto al 2018. Le imprese più innovative mostrano performance economiche migliori con livelli di produttività del lavoro (74,6 mila euro per addetto) maggiori di chi non innova, sia nel complesso, sia a parità di dimensione media di impresa. Tra queste le più performanti sotto il profilo della produttività sono le imprese dell’industria e le grandi imprese (rispettivamente 80mila e 86,1mila euro per addetto).

Un ruolo determinante nel promuovere il cambiamento dei paradigmi tecnologici e organizzativi delle imprese attraverso l’attività di ricerca e sviluppo (R&S) è stato svolto dagli incentivi pubblici a partire dall’introduzione del piano Industria 4.0 nel 2017 caratterizzato da un credito d’imposta che può essere riconosciuto e fruito in via automatica in relazione alla realizzazione di investimenti rivolti all’innovazione tecnologica. Le risorse erogate alle imprese  attraverso il credito d’imposta sono cresciute nel tempo, passando dallo 0,03 per cento del Pil nel 2015 allo 0,19 per cento nel 2019, anche se in flessione allo 0,13 per cento nel 2020. Contestualmente tra il 2015 e il 2020 sale la percentuale delle società di capitali beneficiarie dell’agevolazione, passando dallo 0,9 per cento al 2,8 per cento nel 2020.

Secondo le indicazioni dell’indice Digital Economy and Society Index (DESI)[1] della Commissione Europea, il nostro Paese evidenzia nel quinquennio 2017-22 l’avanzamento più consistente tra tutti i paesi della UE con forti progressi nella connettività (copertura 5G e banda larga veloce) e un buon posizionamento in termini di integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi (fatturazione elettronica e servizi cloud), occupando l’ottavo posto nel ranking europeo.

Una conferma della importanza dell’adozione delle soluzioni tecnologiche innovative nel migliorare la performance delle imprese è offerta dall’approfondimento sulle imprese 4.0 realizzato dalla Direzione Ricerche e Studi di Intesa Sanpaolo[2]

Nell’analisi condotta su un ampio campione di imprese innovative emerge come l’introduzione di tecnologie 4.0 sia un fenomeno relativamente recente, sicuramente favorito da un efficace azione di policy, con una maggiore diffusione di tecnologie di robotica e di cloud computing.

Con riferimento al triennio 2019-21 le imprese 4.0 hanno mostrato una riduzione di fatturato più contenuto nel 2020 (-9,9%), recuperando oltre il 27% nel 2021, a fronte di un andamento meno brillante per le imprese che non hanno adottato soluzioni 4.0. Tra le imprese innovative spicca la migliore performance delle piccole imprese con una crescita del fatturato del 15,4% (variazione 2019-2021), a fronte di un 5,2% per quelle non 4.0. Indicazioni analoghe si ricavano dal confronto in termini di marginalità e produttività: l’EBITDA sul fatturato dei soggetti 4.0 e il valore aggiunto per addetto si confermano più elevati sia in termini settoriali che dimensionali.

Un ulteriore impulso ai progressi realizzati dalle imprese sul fronte dell’innovazione è previsto dalle finalità del PNRR nel cui ambito assumono rilevanza gli interventi in ambito transizione digitale e di transizione ecologica. I primi sono primariamente indirizzati sull’adeguamento delle infrastrutture, anche tramite un'ampia diffusione di reti di telecomunicazione ad altissima capacità, e al sostegno del tessuto produttivo nell’adozione delle nuove tecnologie. Alla rivoluzione e transazione ecologica è dedicata la Missione 2, che si declina nelle tre componenti relative all’economia circolare, allo sviluppo di fonti di energia rinnovabile e a un'agricoltura più sostenibile. Tutti ambiti in cui le imprese saranno chiamate a gestire l’innovazione ripensando il proprio modo di produrre.

 

[1] L’indice DESI della Commissione è basato su 4 dimensioni di innovazione: Capitale umano, Connettività, Integrazione tecnologie digitali, Servizi pubblici digitali.

[2] Intesa Sanpaolo, Economia e finanza dei distretti industriali Rapporto annuale – n.15, 2023

 

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