Le forme alternative di finanziamento per le PMI: i Minibonds

Le forme alternative di finanziamento per le PMI: i Minibonds

Negli ultimi anni le imprese italiane hanno accentuato la presenza sul mercato dei capitali sfruttando la crescente offerta di soluzioni di finanziamento da parte di intermediari finanziari diversi dalle banche. Il dato più positivo è che questo orientamento ha interessato le imprese di piccola e media dimensione, storicamente dipendenti dai crediti bancari.

Tra queste forme di finanziamento alternative, il private debt si è ormai affermato come componente strutturale del mercato del corporate finance, comprendendo l’insieme degli strumenti finanziari aventi natura contrattuale di debito/credito, generalmente sottoscritti da investitori istituzionali, tipicamente fondi comuni chiusi.

Tali strumenti di debito possono avere caratteristiche di prestiti o di obbligazioni.

I primi rientrano nella categoria del direct lending, cioè finanziamenti concessi sia da piattaforme di Fintech (le cui caratteristiche sono state analizzate in un precedente editoriale), sia da parte dei fondi di investimento alternativi (FIA), i quali, sulla base di un adeguamento del quadro normativo intervenuto nel 2016 [1], possono attualmente erogare e acquistare crediti a favore di soggetti diversi dai consumatori.

Gli strumenti obbligazionari declinati per le PMI assumono la qualifica di Minibond, cioè titoli di debito  a medio-lungo termine di importo inferiore a 50 milioni di euro.

AIFI, l’associazione nazionale che raggruppa anche i fondi di private debt, valuta in € 2,2 miliardi le risorse finanziarie concesse nel 2021 dai FIA alle imprese italiane sia nella forma del direct lending  che in quella di minibond acquistati dai fondi [2]. Le imprese oggetto di finanziamento da parte dei fondi sono state 142, per un totale di 275 operazioni di finanziamento. Nel primo semestre del 2022 invece i nuovi finanziamenti  sono scesi a € 531 milioni, di cui il 44% riguarda il direct lending e il 56% l’investimento in Minibonds.

Il mercato dei Minibonds

Il crescente ricorso ai Minibonds da parte delle imprese è stato favorito da interventi normativi che hanno reso più flessibile e meno oneroso la loro emissione.

Con il Decreto sviluppo del 2012 [3] l'emissione di obbligazioni destinate ad essere quotate (emesse sia da società quotate che da società non quotate) o di obbligazioni convertibili non è più soggetta ai limite del doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato.

L’emissione è stata inoltre favorita dalla deducibilità delle spese sostenute dall'emittente nell'esercizio in cui sono effettivamente sostenute, indipendentemente dal criterio di imputazione a bilancio.

Si è inoltre accentuata la flessibilità dello strumento obbligazionario consentendo clausole di partecipazione agli utili d’impresa e di subordinazione, per le obbligazioni con scadenza non inferiori a 36 mesi.

La clausola di subordinazione definisce i termini di postergazione del portatore del titolo ai diritti degli altri creditori della societa’, ad eccezione dei sottoscrittori del solo capitale sociale, mentre con la componente partecipativa viene regolata la parte del corrispettivo spettante al portatore del titolo obbligazionario commisurandola al risultato economico dell'emittente.

Il corrispettivo relativo a obbligazioni e titoli similari partecipativi si compone di una parte fissa e una parte variabile, dove la prima è data da un tasso di interesse che non può essere inferiore al Tasso Ufficiale di Riferimento pro tempore vigente, mentre la parte variabile è rappresentata da una somma commisurata al risultato economico dell'esercizio dell'emittente, nella percentuale indicata nell'atto dell'emissione, che dovrà essere corrisposta dall'emittente al portatore del titolo annualmente, entro 30 giorni dall'approvazione del bilancio.

Un impulso alla diffusione dei Minibond nei portafogli degli investitori è venuto dalla possibilità di negoziazione, favorita dalla creazione di un mercato non regolamentato (definito sistema multilaterale di negoziazione) destinato alla negoziazione di tali titoli.

A partire dal febbraio 2013, la Borsa ha istituito il Segmento ExtraMOT PRO, riservato agli investitori professionali, per la negoziazione di obbligazioni, titoli che derivano da operazioni di  cartolarizzazione (Asset backed securities), cambiali finanziarie. Dal 16 settembre 2019 è attivo ExtraMOT PRO3, il mercato dedicato all’emissione di obbligazioni o titoli di debito da parte di società non quotate su mercati regolamentati, PMI o aventi un valore di emissione inferiore a € 50 milioni.

Tra i principali adempimenti richiesti alle imprese emittenti i Minibonds ai fini della loro ammissione alla negoziazione figura la redazione e pubblicazione del prospetto informativo o (nella forma più semplificata normalmente preferita dalle piccole imprese) il documento di ammissione, contenente le principali informazioni sull’emittente, sulle caratteristiche dei titoli, oltre alle informazioni sulle principali grandezze economiche e finanziarie di bilancio. Nel documento particolare attenzione deve essere prestata alla rappresentazione dei rischi dell’emissione connessi all’indebitamento, al mercato in cui la società opera, ad eventuali contenziosi e ai conflitti di interesse con parti correlate.

Vanno inoltre indicate le finalità dell’emissione che normalmente fanno riferimento a categorie di utilizzo dei fondi quali obiettivi di investimento per la crescita interna ed esterna, di finanziamento del capitale circolante netto, riduzione del debito esistente.

Una volta ammessi alla quotazione, l’emittente dei minibonds si impegna a pubblicare regolarmente sul proprio sito Internet il bilancio annuale soggetto a revisione legale, l’ eventuale assegnazione di rating pubblico e altre informazioni sulle caratteristiche tecniche dei titoli come pure le informazioni che possano influenzare il valore di mercato dei titoli.

Alla data del 31 dicembre 2021 risultavano quotati 127 titoli emessi da 92 imprese (la maggior parte delle quali dal comparto industriale), per un valore nominale complessivo di circa € 3,25 miliardi.

Più  ampio è il numero delle società e dei titoli complessivamente collocati, comprendente anche le imprese che non hanno quotato le proprie obbligazioni (corrispondenti al 64% del totale). Nel corso del solo 2021 sono stati emessi ben 219 Minibonds riferiti a 200 imprese. Se si allarga l’orizzonte temporale all’ultimo decennio (periodo 2012-2021) le società emittenti censite dal Politecnico di Milano[4] sono 832 società, di cui circa i 2/3 sono PMI. Il controvalore medio delle emissioni si colloca tra i 4 e 5 milioni di euro. La dimensione mediamente piccola delle emissioni rende meno attrattivo l’investimento per investitori istituzionali nazionali ed esteri e ciò ha incentivato la creazione di basket bonds che consentono a più imprese di effettuare emissioni con caratteristiche simili in termini di scadenze. Queste vengono sottoscritte interamente da un veicolo di cartolarizzazione che trasforma i Minibonds in titoli cartolarizzati (asset backed securities: ABS). Per gli investitori si tratta di una opportunità per poter diversificare gli investimenti a partire da volumi più adatti per i propri portafogli.

La maggioranza dei titoli ha una scadenza superiore a 7 anni e prevede un rimborso secondo un piano di ammortamento. E’ inoltre di gran lunga prevalente la cedola fissa, mentre è minoritaria la scelta di avvalersi di un rating.

Il costo dell’emissione è normalmente superiore a quello di un prestito bancario con caratteristiche simili in termini di durata e ciò lascia intendere che le emissioni sono finalizzate, più che a ridurre il costo complessivo del debito, ad aumentare la disponibilità e la diversificazione dei finanziamenti.

Sul costo dell’emissione incidono comunque gli eventuali covenants contrattuali e le garanzie prestate da soggetti pubblici, consorzi Fidi e in misura più significativa negli ultimi anni dal Fondo di Garanzia statale gestito da Mediocredito Centrale-Banca del Mezzogiorno.

Le analisi svolte sulle caratteristiche economiche e finanziarie delle imprese che ricorrono ai Minibonds segnalano come le PMI emittenti mediamente crescono in misura significativa già prima della raccolta di capitale con una crescita ulteriore successiva al collocamento. La crescita è collegata ad un aumento degli investimenti. Inoltre nella maggioranza dei casi il Minibond non aggrava la situazione finanziaria ma tende a sostituire, almeno parzialmente, il debito già esistente.

[1]L’articolo 17 del decreto legge n.18/2016 ha formalizzato le modalità operative per la concessione di finanziamenti, ovvero il direct lending, da parte dei fondi di investimento alternativi (o FIA).

[2] AIFI, 2021 Il mercato italiano del Private Debt, 22 marzo 2022

[3] Nel tempo hanno fatto seguito ulteriori interventi normativi finalizzati ad incentivare il ricorso delle imprese ai Minibonds. Si ricordano: a) il D.L. 145/2013 ‘Destinazione Italia’ che ha reso i Minibonds ammissibili a copertura delle riserve tecniche delle assicurazioni ed esteso l’intervento del Fondo Centrale di Garanzia ai fondi che investono in Minibonds; b) il D.L. 91/2014 ‘Competitività’ che ha eliminato la ritenuta d’acconto sugli interessi delle obbligazioni anche quando non quotate; c) la Legge 145/2018 che ha consentito il collocamento presso investitori istituzionali di Minibonds alle piattaforme di equity crowdfunding; d) D.L. 18/2020 (Cura Italia) e D.L. 23/2020 (Liquidità) che hanno estenso le garanzie pubbliche e SACE a favore dei Minibonds; e) il D.L. 73/2021 (Sostegni-bis) che estende l’intervento del Fondo centrale di garanzia a favore delle cartolarizzazioni dei Minibonds

[4] Politecnico di Milano, 8° Report italiano sui Minibonds, marzo 2022

 

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