La valutazione del costo del capitale dell'impresa

La valutazione del costo del capitale dell'impresa

Una delle principali misure utilizzate nelle analisi finanziarie riguardanti le imprese è rappresentata dal costo del capitale.

E’ questo un indicatore capace di sintetizzare le diverse variabili economiche e finanziarie che influenzano le decisioni di investimento e di finanziamento degli operatori economici e pertanto bene si presta ad essere utilizzato in diversi tipi di valutazioni.

Quando l’impresa deve decidere se effettuare o meno un certo investimento si deve chiedere se la redditività attesa da quella decisione è in grado di coprire i costi di finanziamento cioè di copertura del fabbisogno finanziario originato dall’investimento. Questi costi rappresentano specularmente la remunerazione richiesta dagli operatori finanziari che mettono a disposizione i fondi richiesti. Sotto il profilo economico-finanziario l’investimento crea valore per l’impresa solo nella misura in cui il rendimento atteso supera il costo del capitale.

Particolare valenza assume la misura del costo del capitale nell’ambito della valutazione di impresa finalizzata ad esempio ad una operazione di acquisizione. La valutazione dell’impresa basata sull’attualizzazione dei cash flow o dei dividendi futuri è possibile solo stimando il costo del capitale quale fattore di attualizzazione. Ma anche la apparentemente più semplice valutazione basata sui multipli, come già approfondito in un precedente editoriale, sottende il calcolo del costo del capitale. Più elevato il costo del capitale, a parità di flussi finanziari/reddituali attesi, minore il livello dei multipli.

Un ulteriore esempio dell’importanza della stima del costo del capitale riguarda la scelta della struttura finanziaria delle imprese. Un’ampia letteratura economica si è dedicata a valutare l’impatto della diversa composizione delle fonti finanziamento (in primis il mix debito-capitale di rischio) sul costo complessivo dei finanziamenti, essendo la domanda riconducibile al quesito più importante riguardante quanto è utile/opportuno accrescere l’indebitamento dell’impresa.

Partendo da questo ultimo esempio è necessario qualificare il concetto di costo del capitale in termini di costo medio ponderato del capitale, cioè il costo complessivo che tiene in considerazione la composizione della struttura finanziaria.

In termini più formali l’espressione del costo medio del capitale (o utilizzando l’acronimo anglosassone: wacc cioè weighted average costo of capital) può essere rappresentata come:

 

Con questa espressione si mette così in evidenza come il costo medio ponderato del capitale dipende dal costo delle singole fonti di finanziamento (nell’espressione debito e capitale proprio), dall’impatto della deducibilità fiscale degli interessi sul debito e dal peso delle singole fonti di finanziamento sul totale dei finanziamenti.

Come misurare il costo del capitale?

Alla semplicità della espressione formale del costo medio ponderato del capitale si accompagna una certa complessità e, come vedremo discrezionalità, nelle modalità della sua stima.

Partendo dal costo del debito, questo può essere approssimato considerando il costo per interessi passivi corrisposti sui debiti finanziari (prestiti, obbligazioni, leasing, sconto di fatture…) in un determinato esercizio, rapportati al livello medio dei debiti presenti nella situazione patrimoniale dell’impresa.

Questa metodologia si basa sui costi già sostenuti (costi finanziari storici) dall’impresa, mentre non è indicativa del costo del nuovo debito che l’impresa potrebbe richiedere per finanziare il proprio fabbisogno aggiuntivo. Esemplificando, se il debito è composto da mutui che sono stati erogati in esercizi precedenti a tassi di interesse più bassi di quelli espressi oggi dal mercato, la misura di costo del debito come sopra definita porta a sottovalutare il costo del debito aggiuntivo richiesto dai nuovi investimenti..

La stima alternativa, rispondente alle condizioni di mercato attuali, può essere basata su un costo del debito che è composto da un tasso di interesse privo di rischio, come può essere quello di un titolo governativo con scadenza simile a quella del finanziamento richiesto, oppure considerando le rilevazioni dei tassi a medio-lungo termine (ad esempio EURIRS 5 o 10 anni) che sono solitamente alla base dei finanziamenti concessi dagli istituti di credito. Al tasso base va poi aggiunta la maggiorazione percentuale (spread) che tiene in considerazione il rischio di insolvenza dell’impresa. Per la stima dello spread è possibile acquisire indicazioni da analisti/data provider che valutano la maggiorazione del tasso di interesse in relazione ad un insieme di parametri economico-finanziari di gruppi di imprese appartenenti a diversi settori. E’ anche la metodologia alla base dei sistemi di rating che traducono il rischio di insolvenza in un punteggio ordinale.

La valutazione del costo del capitale proprio rappresenta sicuramente la variabile più complessa da stimare in considerazione delle componenti economico-finanziarie che contribuiscono alla sua determinazione.

A premessa dell’approfondimento metodologico di seguito svolto, va precisato come il costo del capitale di rischio rappresenti il rendimento richiesto dagli azionisti della società. Tale remunerazione deve pertanto scontare la maggiore variabilità della remunerazione nel tempo, che rifletterà l’andamento della redditività netta dell’impresa e, sulla base di questa, la distribuzione attesa di dividendi.

A titolo di esempio si consideri una situazione economica e patrimoniale di un’impresa con i seguenti valori:

Si consideri la stessa impresa con D=400 e Capitale proprio=600

L’esempio dà evidenza di come la remunerazione del debito rimane costante (5% di 400=20 o 5% di 600 nel caso di maggiore indebitamento) in corrispondenza dei differenti valori assunti dai risultati operativi dell’impresa (100, 80, 120) ), mentre la remunerazione del capitale proprio si modifica con i diversi livelli di redditività operativa (10,1%, 7,6%, 12,7%), con una variabilità che cresce al variare dei livelli di indebitamento: in presenza di un debito pari a 600 la remunerazione del capitale proprio passa da 9,5% al 17,1% in corrispondenza di risultati operativi pari rispettivamente a 80 e 120.

E’ questa variabilità che rappresenta il rischio finanziario che occorre remunerare e che di conseguenza influenza il costo del capitale proprio.

E’ questo anche il costo nascosto del capitale di rischio che molte imprese trascurano nella valutazione del costo del capitale.

Nel determinare la remunerazione del capitale di rischio l’investitore dovrà inoltre considerare anche la possibilità di diversificare l’investimento in un portafoglio finanziario più ampio, con la conseguenza di stimare il rischio connesso al singolo investimento solo per quella parte che non è possibile diversificare

(in finanza il rischio sistematico).

Per l’investitore il rendimento richiesto – e quindi il costo del capitale proprio per l’impresa – sarà pertanto dato da un tasso di remunerazione per un investimento considerato privo di rischio più un premio per il rischio, dove questa seconda componente riflette la variabilità nel tempo dei rendimenti che è possibile ottenere sull’investimento per la parte non diversificabile.

A titolo di esempio, se l’investimento riguarda le azioni (cioè capitale di rischio) di una impresa ceramica il rendimento azionario rifletterà il livello e l’evoluzione nel tempo dei ricavi e dei costi (e della loro differenza, cioè i margini). I risultati economici rifletteranno quindi, tra gli altri fattori, il costo dell’energia impiegata per gli altiforni. Aumenti dei costi energetici determineranno, a parità di altre variabili, riduzioni dei risultati operativi e della remunerazione del capitale proprio. Questa variabilità di risultati, che in finanza rappresenta il rischio finanziario, potrà essere attenuata per l’investitore, che oltre a finanziare l’impresa ceramica, ha investito in imprese che producono energia e che si avvantaggiano dei maggiori prezzi delle materie prime. Per l’investitore la diversificazione comporterà una minore variabilità complessiva dei rendimenti ottenuti sul portafoglio finanziario comprensivo dei due investimenti.

La misura del costo del capitale è opportuno che rifletta questa diversificazione e conseguentemente che il premio per il rischio si basi su di una misura che considera l’apporto del singolo titolo al rischio cosiddetto sistematico cioè non diversificabile.

Nella teoria dei mercati finanziari questo premio è dato dal prodotto dell’indicatore β del singolo investimento moltiplicato per la differenza tra il rendimento ottenuto da un portafoglio pienamente diversificato (rendimento di mercato) e il rendimento sull’investimento privo di rischio. Il β esprime la misura con cui il rendimento del singolo investimento (azione) varia al variare del rendimento di mercato. Un valore del Beta pari a 0,5 significa che se l’indice di tutti gli investimenti azionari in un determinato arco temporale aumenta del 2%, il valore della singola azione cresce mediamente dell’1%, se diminuisce del 2%, il valore dell’azione cala mediamente dell’1%.

In termini formali il ragionamento precedente porta ad una espressione del costo del capitale definita come:

Dove il premio per il rischio relativo al singolo titolo è il prodotto tra l’indicatore β e il cosiddetto market risk premium cioè la differenza tra il rendimento offerto da un ampio portafoglio di investimento  e il rendimento su un investimento privo di rischio  .

Esemplificando il calcolo del costo del capitale, se il rendimento di mercato (generalmente approssimato dal rendimento ottenuto dall’insieme dei titoli azionari che compongono l’indice generale delle azioni) è stimato pari al 10%, il rendimento su un investimento privo di rischio (come quello in un titolo governativo) è pari al 4%, e il β del singolo investimento è pari a 0,5, il costo del capitale proprio sarà stimato pari a 4%+0,5×(10%-4%)=7%

Come procedere operativamente a valutare il costo del capitale di rischio?

In primo luogo si individua il rendimento di un investimento privo di rischio (il cosiddetto risk-free rate) che può essere rappresentato da un titolo di stato con una scadenza che è preferibile sia di medio lungo periodo in linea con il fatto che il capitale proprio è una componente contrattualmente  senza data di scadenza. Il risk-free rate è reperibile nelle quotazioni dei titoli di Stato sul mercato EuroMot e anche nei report degli analisti finanziari che esplicitano il calcolo del costo medio ponderato del capitale. I report degli analisti si trovano anche sul sito di Borsa Italiana (https://www.borsaitaliana.it) nella sezione studi societari di ogni società quotata.

Per la stima dei beta è possibile accedere ad alcune fonti pubbliche, tra cui spiccano le elaborazioni rese disponibili dal Prof. Damodaran della NY Stern School of Business della New York University, di cui si riportano alcuni dati relativi all’inizio del 2023

Nella tabella sono riportati i beta relativi a campioni a gruppi di imprese appartenenti a diversi settori.

Poiché il beta delle società riflette il livello di indebitamento, nella tabella viene riportato anche il valore del beta unlevered che esprime la rischiosità nell’ipotesi di assenza di indebitamento. E’ questa una misura utile perché consente di poter essere “personalizzata” quando si tratta di valutare il costo del capitale di singole società.

Infatti dal beta unlevered di settore  si può pervenire al beta levered della singola impresa analizzata tenendo conto del suo specifico grado di indebitamento. L'espressione di riferimento è rappresentata da

Anche per quanto riguarda la componente del premio per il rischio rappresentata dalla differenza tra rendimento di mercato e rendimento privo di rischio è possibile fare riferimento alle elaborazioni sui dati di mercato come quelle proposte da http://www.market-risk-premia.com/it.html che porta a stimare per l’Italia, nel mese di gennaio del 2023, un market risk premium pari a 8,73% e un tasso risk free pari a 2,25%.

In base alle informazioni raccolte è così possibile procedere ad una stima del costo del capitale di rischio per una società che, per esempio, opera nel settore della componentistica delle automobili ipotizzando che il suo rapporto debito/capitale proprio (D/E) sia pari a 0,5, l’aliquota fiscale effettiva il 30%. Utilizzando il beta unlevered per il settore calcolato da Damodaran (pari a 1,12), il beta levered dell’impresa considerata sarà pari a

 

Utilizzando il dato del market risk premium (8,73%) e il rendimento risk free pari a 2,25% si ottiene una stima del costo del capitale di rischio per l’impresa considerata pari a

Un ultimo passaggio per pervenire al calcolo del costo medio ponderato del capitale riguarda la stima dello spread da aggiungere al tasso risk free per la valutazione del costo del debito.

Se si utilizzano le valutazioni di rating del debito elaborate da Damodaran per diversi livelli del rapporto risultati operativi/oneri finanziari delle imprese ed ipotizzando che tale rapporto per l’impresa considerata nell’esempio sia pari a 3, si ottiene una stima dello spread pari al 3%.

 

Possiamo a questo punto, utilizzare le diverse informazioni relative alle componenti del costo del capitale e pervenire alla seguente stima

Costo medio ponderato del capitale =

In sintesi

La misura del costo del capitale oggetto di questo approfondimento rappresenta uno dei principali indicatori impiegati dagli analisti finanziari a supporto di decisioni importanti per la vita delle imprese: quali la scelta o meno di effettuare un investimento, di acquisire un’altra impresa o di valutare il mix preferito tra le diverse forme di finanziamento.

La valutazione del costo del capitale è il risultato di un processo di raccolta ed elaborazione di informazioni riguardanti, da un lato, le caratteristiche economico finanziarie presenti e prospettiche delle imprese e, dall’altro, le indicazioni offerte dai mercati finanziari riguardanti in particolare il prezzo da attribuire al rischio finanziario. Si tratta di un processo non banale, che si presta inevitabilmente ad approssimazioni e ad una certa discrezionalità ma che, proprio per questo, richiede un’adeguata conoscenza delle situazioni aziendali e la capacità di saper leggere le informazioni di mercato.

Nell’ambito del costo del capitale la valutazione del costo del capitale proprio rappresenta l’aspetto più critico e anche quello più sottovalutato nelle decisioni aziendali. Nelle esemplificazioni svolte in precedenza, basate su ipotesi necessariamente semplificatrici, si è voluto comunque sottolineare la necessità di considerare adeguatamente il rischio finanziario connesso al ricorso e all’investimento nel capitale azionario e che rendono il suo costo superiore a quello del capitale di debito.
E’ un rischio che deve essere opportunamente considerato anche considerando la possibilità o meno dei finanziatori di poter diversificare i propri investimenti.

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