Le piattaforme finanziarie e il finanziamento delle imprese

Le piattaforme finanziarie e il finanziamento delle imprese

Negli ultimi decenni l’innovazione finanziaria ha rappresentato uno dei principali fattori di cambiamento dei sistemi finanziari, contribuendo alla crescita e diffusione di nuovi prodotti e servizi e all’introduzione di nuove tecniche di gestione dei rischi. Insieme ad una maggiore concorrenza tra gli operatori ne è derivata anche una trasformazione dei modelli di business con cui gli intermediari si rapportano alle imprese e agli individui.

In questo percorso innovativo un’accelerazione importante è stata data  dalle tecnologie digitali e dall’affermarsi di piattaforme finanziarie che hanno sviluppato nuove applicazioni, processi e prodotti capaci di trasformare il contenuto e le modalità di offerta dei servizi finanziari.

Le applicazioni di tali tecnologie all’industria finanziaria viene identificata con il termine "Fintech", una crasi che sintetizza lo stretto connubio che oggi caratterizza il mondo finanziario con quello tecnologico.

Per la molteplicità delle applicazioni possibili il termine Fintech viene a comprendere numerose attività tra cui quelle di pagamenti digitali, di assicurazione (Insurtech) e open banking. E un ruolo sempre più rilevante è assunto, all’interno di questa ampia categoria, dalle operazioni di prestito e di partecipazione al capitale di rischio delle imprese che rappresentano forme alternative di finanziamento rispetto ai tradizionali canali di intermediazione bancaria o di ricorso al mercato dei capitali.

La rilevanza di questa area di attività è ben documentata da due recenti analisi [1] in cui si dà evidenza dello sviluppo delle piattaforme finanziarie a livello nazionale e nel confronto con gli altri grandi paesi. Se si fa riferimento alla sola attività di prestiti concessi alle imprese e consumatori, le statistiche elaborate dal Cambridge Centre for Alternative Finance (CCAF) a livello globale segnalano come le transazioni (cioè i nuovi flussi di finanziamento) realizzate attraverso le piattaforme hanno raggiunto nel 2020 un valore di circa 99 miliardi di $ con una crescita di oltre il 20% nell’arco di un triennio.

La componente principale (34,7 mld) delle transazioni è rappresentata dai prestiti al consumo che vedono le piattaforme offrire un servizio di intermediazione senza assunzione dei prestiti nel proprio bilancio. In questo modello di erogazione dei prestiti, definito marketplace lending, gli investitori individuali o istituzionali concedono un prestito e la piattaforma si limita a mettere in contatto i finanziatori con le imprese o gli individui, curando l’istruttoria della pratica.

Il modello alternativo,  utilizzato prevalentemente a favore delle imprese (balance sheet business lending), vede invece la piattaforma digitale originare e detenere sul proprio bilancio, in tutto o in parte, i prestiti concessi a individui o imprese con la conseguenza che il rischio di credito rimane in capo alla piattaforma che opera quindi come un intermediario finanziario non bancario [2]. Il flusso di erogazioni secondo questa modalità ha raggiunto nel 2020 i 28 mld di $.

La composizione per paese vede una preponderanza delle erogazioni fintech negli Usa e nel Regno Unito, con quote sul totale delle erogazioni pari rispettivamente al 64% e all’11%.

Sebbene i paesi dell’Unione Europea scontino ancora un ritardo rispetto ai paesi anglosassoni nell’utilizzo delle piattaforme fintech, i tassi di crescita degli ultimi anni fanno intendere che sia in atto un sostenuto processo di catching up. Anche in Italia il mercato è cresciuto a ritmi elevati e nel 2020 si collocava su valori in linea con quella di Francia e Germania.

La caratteristica del mercato fintech italiano è rappresentata dallo sviluppo delle piattaforme di prestiti e in particolare nelle forme tecniche del marketplace lending e dell’invoice trading.

Con la prima forma di finanziamento, definita anche social lending o lending based crowdfunding, le imprese o gli individui possono richiedere a una platea di potenziali finanziatori, tramite piattaforme digitali, credito per uso personale o per finanziare un progetto.

La piattaforma può allocare i fondi ai beneficiari in base ai criteri indicati dagli investitori oppure l’investitore sceglie direttamente a chi prestare denaro. La grande maggioranza delle piattaforme che finanziano imprese utilizza questo secondo modello “diretto”[3].

Alla data del 30 giugno 2022 risultavano operative sul mercato italiano 30 piattaforme di lending crowdfunding aperte alle PMI.  I prestiti alle imprese non immobiliari sebbene ancora contenuti, sono in rapida espansione: da 80 milioni erogati tra luglio 2018 e giugno 2019 a 340 milioni di euro nel periodo che termina a giugno 2021.

L’invoice trading è la cessione pro soluto di fatture commerciali in cambio di un anticipo in denaro attraverso una piattaforma. Quest’ultima seleziona le proposte da accettare sulla base di una valutazione del merito di credito che riguarda sia l’impresa cedente il credito, sia il suo cliente debitore.  La valutazione si può avvalere di consulenti specializzati, agenzie di rating e consultando database commerciali. Anche per questa forma di finanziamento la piattaforma può agire come semplice mediatore oppure acquistando direttamente il credito e dando luogo ad operazioni di cartolarizzazione indirizzate ad investitori istituzionali.

La domanda di questa forma di finanziamento è alimentata da imprese, normalmente PMI, che hanno difficoltà ad accedere allo smobilizzo dei crediti presso una banca o una società di factoring o che richiedono tempi di risposta molto più veloci. Un altro vantaggio per le imprese è che la cessione non richiede segnalazione alla Centrale Rischi del circuito bancario. L’invoice trading viene anche utilizzato per supportare il credito di filiera, ad esempio quando la grande impresa offre ai suoi fornitori l’opportunità di cessione della fattura agli investitori accreditati nella piattaforma.

Nei dodici mesi terminanti a giugno 2021, il controvalore delle fatture cedute è stato pari a 1,24 miliardi di euro, mentre dall’inizio dell’attività di questo mercato il flusso complessivo ha superato i 4 miliardi di euro, il che fa del mercato italiano dell’invoice trading il più importante in Europa.

Una forma più rischiosa di finanziamento delle imprese che gode comunque di un crescente interesse da parte degli investitori è l’equity crowdfunding. E’ proprio la maggiore rischiosità associata all’apporto di capitale alle imprese che ha richiesto un intervento normativo volto a tutelare gli investitori. Con il D.L. 179/2012, convertito nella Legge 221/2012, si è disciplinato uno strumento utile a favorire lo sviluppo delle start-up innovative (a partire dal 2017 a tutte le imprese) attraverso regole e modalità di finanziamento in grado di sfruttare le potenzialità della rete internet e limitando l’ammontare dell’offerta agli 8 milioni di euro. Nel 2013 la Consob ha pubblicato il Regolamento che detta le regole di condotta dei gestori dei portali e l’informativa minima da fornire agli investitori e stabilendo che una quota pari almeno al 5% degli strumenti finanziari offerti deve essere sottoscritta da investitori istituzionali.

A novembre 2022 erano 51 le piattaforme autorizzate dalla Consob all’attività di equity crowdfunding e 30 quelle che avevano già lanciato almeno una campagna. Alla data del 30 giugno 2022 erano state censite 1.055 campagne sui portali autorizzati, di cui ben 99 avviate nei primi 6 mesi del 2022. In totale il capitale effettivamente raccolto dalle 799 campagne chiuse con successo ammonta a circa € 430 milioni di euro.

Il target di raccolta medio per le offerte censite è stato pari a € 204 mila euro per i progetti non immobiliari e circa 1 milione di € per quelli immobiliari.

L’importo medio della sottoscrizione è di poco inferiore a 4.000 euro per le persone fisiche e a 30.000 euro per quelle giuridiche. Ogni campagna è sostenuta in media da circa 100 investitori. La grande maggioranza della raccolta riguarda start-up innovative che operano nei servizi di informazione e comunicazione e delle attività professionali e scientifiche. Sono imprese con un’età mediana di 2 anni e con un fatturato mediano di circa 10.000 euro (escludendo le società immobiliari). A riscontro della rischiosità dell’operazione si segnala che gran parte delle aziende che hanno lanciato almeno una campagna di raccolta opera in perdita e che quasi sempre la crescita del fatturato nell’anno successivo alla chiusura della campagna è inferiore ai target definiti nei business plan.

In sintesi, le statistiche del fintech ci dicono che si tratta di una realtà che rappresenta ancora una piccolissima parte del sistema finanziario[4] ma particolarmente dinamico sia per quanto riguarda i tassi di crescita che hanno caratterizzato gli anni più recenti, sia per l’ampliamento delle forme tecniche di finanziamento proposte dalle piattaforme. E soprattutto siamo in presenza di una tecnologia che oltre ad entrare in concorrenza con intermediari tradizionali, sempre più contaminerà i loro processi, servizi e  modelli di business.

[1] Salvatore Cardillo, Antonio Ilari, Silvia Magri, Giorgio Meucci, Mirko Moscatelli e Dario Ruzzi, Le piattaforme Fintech di prestito e di raccolta di finanziamenti nel mondo e in Italia, Questioni di Economia e finanza, Banca d’Italia, Roma, giugno 2022.

Politecnico di Milano, La Finanza Alternativa per le PMI in Italia, 5° Quaderno di ricerca, novembre 2022

[2] In Italia l’erogazione dei finanziamenti con il modello balance sheet platforms o la gestione dei flussi di pagamento connessi alla piattaforma, richiede che l’operatore sia dotato delle necessarie autorizzazioni a norma del TUB, rispettivamente come intermediario finanziario ex art. 106 TUB o come istituto di pagamento o IMEL.

[3] Secondo la delibera 584/2016 della Banca d’Italia, l’attività del gestore del portale è autorizzata se inquadrata come prestazione di servizi di pagamentoe e quando prenditori e finanziatori sono in grado di incidere sulle clausole contrattuali.

[4] Nel 2020 i prestiti delle piattaforme Fintech rappresentavano lo 0,21 per cento del credito in essere erogato dal settore finanziario negli Stati Uniti, lo 0,13 per cento nel Regno Unito, lo 0,03 per cento nell’Unione Europea, lo 0,07 per cento in Italia

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