Rapporto banca-impresa a prova di sostenibilità

Rapporto banca-impresa a prova di sostenibilità

Il mondo delle imprese è chiamato a svolgere un ruolo decisivo nella sfida posta dal cambiamento climatico. Orientare la produzione, gli investimenti e le risorse finanziarie verso obiettivi di contenimento dei rischi ambientali rappresentano il cambiamento di paradigma economico necessario per pervenire ad un equilibrio sostenibile tale che l’utilizzo delle risorse naturali non comprometta la loro disponibilità per le generazioni futuri.

A favorire il nuovo paradigma economico della sostenibilità non è solo la condivisione di principi ambientali ma anche la crescente consapevolezza dei rischi che possono minare la stessa economicità della gestione. Si tratta di rischi fisici come quelli legati alle calamità naturali o di rischi di transizione che originano dal passaggio da un’economia ad alta intensità ad una a bassa intensità di emissione di gas serra. Questi ultimi includono rischi regolamentari, legali, tecnologici, di mercato, reputazionali.

Le caratteristiche dei rischi ambientali e delle loro conseguenze dirette e indirette stanno cambiando lo scenario operativo delle imprese ma anche del sistema finanziario che ha un importante compito da svolgere sia per quanto riguarda la gestione di tali rischi, sia per il finanziamento della transizione climatica.

Nell’ambito del sistema finanziario è decisivo il ruolo che potrà svolgere il sistema bancario, considerata l’importanza che questo riveste nel finanziamento delle imprese e delle famiglie.

Con riferimento alle attività delle banche, l’impatto dei rischi ambientali appare particolarmente rilevante per il rischio di credito, dato che oltre l’80% del capitale proprio delle banche è a presidio di questa tipologia di rischio. Non irrilevanti sono tuttavia le ricadute anche sui rischi di mercato, operativi e di concentrazione.

ll rischio ambientale per le banche riguarda la materializzazione negativa di fattori ambientali che si manifesta attraverso le controparti, in particolare famiglie e imprese. In base al principio della doppia materialità, queste ultime possono infatti essere impattate negativamente dai fattori ambientali (con ricadute materiali per il finanziatore), mentre le attività economiche e finanziarie delle famiglie e delle imprese possono a loro volta avere un impatto negativo sull’ambiente (materialità ambientale).

Le autorità di supervisione europee sono impegnate a sollecitare le banche a produrre una maggiore informazione sui rischi ambientali nell’ambito della più ampia regolamentazione (Pillar 3) che ha la finalità di accrescere la trasparenza informativa delle banche e di rafforzare la disciplina di mercato.

A questo riguardo particolare rilevanza assumono gli standard tecnici rilasciati recentemente dall’EBA[1]  con la richiesta alle istituzioni creditizie di report qualitativi e quantitativi sui rischi ESG.

Tra le informazioni più rilevanti richieste alle banche figurano quelle riguardanti i finanziamenti e le garanzie concesse a settori e imprese a maggiore rischio climatico, come quelle escluse dai benchmark allineati all’Accordo di Parigi[2]  o che rientrano nell’elenco di società di cui all’articolo 12.1 del Regolamento UE 2020/1818[3]. Si aggiungono informazioni relative all’esposizione verso le 20 principali imprese classificate per intensità di CO2 e quelle riguardanti prestiti con collaterale rappresentato da immobili con obbligo di specificare la loro certificazione energetica.

A partire dal 2024 le banche dovranno inoltre fornire informazioni sull’ammontare dei finanziamenti e delle garanzie concesse alle diverse tipologie di controparte (imprese finanziarie e non, famiglie, enti locali) indicando il loro allineamento agli obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico indicati dalla Tassonomia europea. Su tali informazioni verrà basato il calcolo del Green Asset Ratio (GAR) che esprime il rapporto tra le attività classificate come sostenibili in accordo alla Tassonomia e il totale delle attività (dal numeratore sono escluse le PMI e le imprese non UE).

Su base volontaria le banche potranno inoltre fornire informazioni per il calcolo del Banking Book Taxonomy Alignment Ratio (BTAR) che, a differenza del GAR, include al numeratore le esposizioni verso le PMI (a partire dal 2025).

Le informazioni richieste alle banche sono dunque destinate ad avere importanti ricadute sulla loro operatività e in particolare sul rapporto con le imprese. La metrica ESG sta entrando in modo significativo nei sistemi di valutazione del rischio creditizio delle imprese e queste ultime saranno chiamate a fornire sempre più informazioni non solo sui profili ESG delle proprie attività ma anche sulle caratteristiche dei rapporti di fornitura, atteso che le materie prime e i prodotti intermedi impiegati hanno a loro volta un impatto ambientale.

Questo coinvolgimento della catena del valore nella valutazione dei rischi ambientali è dunque destinato ad allargare la richiesta di informazioni dalle grandi imprese, quotate e non, alla ben più ampia platea delle piccole e medie imprese non quotate. Se le prime sono già impegnate in una rendicontazione di sostenibilità sempre più analitica - in previsione dall’applicazione della Direttiva europea sulla disclosure di sostenibilità (CSRD) e degli standard di rendicontazione elaborati dall’European financial reporting advisory group (EFRAG) - le PMI saranno invece coinvolte in tempi brevi sia dalle banche finanziatrici, sia dalle grandi imprese clienti a svolgere una due diligence ESG sulla loro attività.

 

[1] EBA, Environmental social and governance Pillar 3 disclosures, 2022

[2] Si tratta dei punti d e g dell’art.12.2: imprese estrattive e imprese che derivano più del 50% dei ricavi dalla generazione di elettricità con una intensità di gas serra che supera i 100 g CO2 e/kWh

[3] Riguarda società coinvolte in attività riguardanti armi controverse; tabacco; violazioni dei principi del patto mondiale delle Nazioni Unite o delle linee guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali; società che ottengono: i) l’1 % o più dei ricavi da carbon fossile e ii) 10 % o più dei ricavi oli combustibili; iii) 50 % o più dei ricavi d gas combustibili; iv) 50 % dei ricavi da energia elettrica con un’intensità dei gas a effetto serra superiore a 100 g CO2e/kWh.

 

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