Le IMPRESE ITALIANE sono IN SALUTE?

Le IMPRESE ITALIANE sono IN SALUTE?

La situazione economico-finanziaria delle imprese italiane nella Relazione della Banca d’Italia

La presentazione della Relazione annuale 2022 della Banca d’Italia, con la ricchezza di informazioni economiche e finanziarie che la caratterizza, offre l’opportunità per un aggiornamento sullo stato di salute del sistema delle imprese italiane.

La crescita e gli investimenti

Nel 2022 il valore aggiunto del totale delle imprese italiane è cresciuto del 3,9% grazie alla ripresa della domanda e ai significativi interventi pubblici che hanno beneficiato in particolare il settore delle costruzioni, che ha visto superare del 25,3% il livello del 2019.  La ripresa si è avvantaggiata anche della crescita di taluni comparti del settore dei servizi più penalizzati dalla crisi pandemica, come il commercio, i trasporti, l’alloggio e la ristorazione.

Tra le componenti della domanda, particolarmente dinamici sono risultati gli investimenti fissi lordi delle imprese che sono cresciuti del 9,4%, superando di quasi un quinto il livello del 2019. Gli investimenti in costruzioni hanno continuato a crescere a un ritmo elevato (+11,6% nel 2022 dopo il + 27,7% del 2021), interessando sia la componente abitativa che quella non residenziale.

La redditività e la struttura finanziaria

La ripresa dell’attività produttiva ha sostenuto la redditività delle imprese con un margine operativo lordo (MOL)  che  è salito al 7,8% del totale attivo, un valore superiore a quello degli anni precedenti la crisi finanziaria. L’incidenza degli oneri finanziari netti sul MOL si è mantenuta contenuta e al disotto della media storica. Ne è risultato un miglioramento dei risultati economici che si riflette nel dato della quota di aziende che hanno riportato utili, salito al 78%. La maggiore redditività ha facilitato la realizzazione di un volume consistente di investimenti e limitato il ricorso all’indebitamento.

Nonostante il maggiore livello di investimenti, i debiti finanziari delle imprese si sono ridotti portandosi nel 2022 ad un valore pari al 68,5% del PIL, un livello ben più contenuto nel confronto con la media dell’area dell’euro (105,4%). La leva finanziaria, misurata dal rapporto tra i debiti finanziari e patrimonio è invece lievemente aumentata, ma solo per effetto del calo dei corsi azionari. La nota positiva è che questo rapporto è in diminuzione per le imprese più piccole riflettendo il loro rafforzamento patrimoniale e, in misura minore, l’uscita dal mercato delle aziende più indebitate.

Il dato dell’indebitamento risulta ancor più ridimensionato se si considera la posizione finanziaria netta, valutata sottraendo alle passività finanziarie la liquidità accumulata dalle imprese. Rispetto al PIL l’incidenza della PFN risulta pari al 41,3%, una quota contenuta grazie agli oltre 520 miliardi di euro di biglietti e depositi detenuti dalle imprese.

La liquidità è associata anche ad una maggiore propensione ad investire: gli investimenti per addetto realizzati nel 2022 e quelli attesi nel 2023 sono più elevati per le aziende con le maggiori scorte di liquidità alla fine del 2021; per il 20% delle imprese con riserve liquide più consistenti gli investimenti risultano oltre il triplo di quelli effettuati dalle imprese con livelli di liquidità inferiori.  

Il credito bancario e gli altri finanziamenti

Il contenimento del debito, oltre ad una maggiore redditività riscontrata presso un’ampia parte del settore delle imprese, riflette la restrizione in atto nell’offerta di credito rivolta alle imprese che presentano una maggiore rischiosità operativa e finanziaria. I prestiti sono rimasti stazionari per le medio-grandi imprese ma in riduzione per le piccole (- 4,4% in marzo 2023 rispetto all’anno precedente), mentre molto dinamica è risultata l’attività del factoring con una crescita del 14,7%. A tale riguardo va segnalato che i finanziamenti alternativi (comprensivi di obbligazioni, leasing, factoring e prestiti tra società) hanno superato le consistenze del credito bancario (660 miliardi di euro contro 647).

Circa un terzo delle imprese ha segnalato un peggioramento nelle condizioni di accesso al credito, riconducibile in particolare al crescente costo dei finanziamenti: il tasso medio sui nuovi finanziamenti è salito al 3,6 %per cento (1,3% a dicembre del 2021), un valore di poco superiore a quello dell’area dell’euro (3,4%).

Mentre è terminata la possibilità di ricorrere agli schemi pubblici di garanzia introdotti nel 2020 in risposta alla pandemia, sono subentrate nuove misure come la disciplina sulle garanzie pubbliche concesse da SACE e dal Fondo di garanzia per le PMI per le imprese in grado di dimostrare un legame diretto tra le esigenze di liquidità e le conseguenze del conflitto (DL 50/2022, convertito dalla L. 91/2022) e le misure per contrastare gli effetti dei rincari energetici (L. 175/2022 e L. 6/2023).

Obbligazioni e private market

Per quanto riguarda le altre forme di finanziamento si segnala il ricorso alle emissioni obbligazionarie per  50 miliardi di euro, in linea con il valore del periodo precedente la pandemia, che hanno interessato soprattutto le grandi imprese finanziariamente più solide. Le nuove quotazioni di società non finanziarie sono state 28, anche queste in linea con i livelli pre-Covid e hanno riguardato quasi esclusivamente il segmento di mercato Euronext Growth Milan dedicato alle imprese più piccole.

Un notevole aumento ha interessato la partecipazione nel capitale di rischio delle imprese non quotate italiane da parte delle società di private equity e venture capital: sono state realizzate 350 operazioni per oltre 12 miliardi di euro, di cui 700 milioni sono stati indirizzati a finanziare la crescita di imprese nelle fasi iniziali di vita (più del doppio della media del triennio precedente). Nel complesso il comparto del private equity in Italia rappresenta lo 0,7% del PIL, un valore ancora inferiore a quello di Francia (0,9%) e Regno Unito (1,0%). In crescita sono anche i prestiti diretti di fondi specializzati (direct lending) che traggono vantaggio da tempi di erogazione rapidi e dalla domanda da parte delle piccole e medie imprese. In rallentamento invece l’ invoice trading e la raccolta di fondi attraverso il collocamento di quote di capitale su piattaforme autorizzate (equity crowdfunding) o l’erogazione di prestiti finanziati da piccoli risparmiatori attraverso un canale digitale (lending crowdfunding)

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