Il mercato bancario italiano visto da una prospettiva M&A.
Il mercato bancario italiano visto da una prospettiva M&A.
(A cura di Rebecca Pignataro)
Le condizioni macroeconomiche, sociali e normative hanno contribuito a cambiamenti sostanziali nel settore bancario europeo.
Dall'implementazione della politica monetaria ultra-espansiva a partire dal 2008, il Margine di Interesse Netto, che è il driver principale della redditività di una banca, ha registrato un calo significativo, quasi il 33% (Cecioni 2019), costringendo le banche a cercare fonti di reddito alternative.
L’industria del mercato bancario italiano, ultimamente, ha puntato molto sul settore M&A per riprendersi dal contesto dei tassi negativi, dato che negli ultimi cinque anni il settore ha assisto ad un exploit di fusioni ed acquisizioni.
Come in ogni settore, le banche possono fondersi per diverse ragioni, come per ottenere economie di scala, per tagliare i costi, per distribuire il rischio e per espandersi nei mercati in crescita.
Inoltre, va notato che le ragioni per cui le banche si fondono tra loro dipendono anche principalmente dal fatto che l'accordo sia nazionale o transfrontaliero. Per ogni operazione, infatti, ci sono barriere che possono impedire le operazioni di M&A o renderle significativamente più difficili da gestire. Un esempio potrebbero essere le questioni normative, incertezza nell'economia, oppure le questioni di business come le differenze strutturali e culturali. E se questi ostacoli sembrano già difficili da gestire a livello nazionale, lo diventano ancora di più quando l’accordo coinvolge due regioni geografiche diverse. Questo è, infatti, il motivo principale che spiega la tendenza alla diminuzione delle operazioni transfrontaliere di fusione e acquisizione nelle banche.
Bisogna ricordare, inoltre, che c'è una differenza tra i fondamenti e le motivazioni dietro le operazioni nazionali e quelle transfrontaliere. Le operazioni transfrontaliere, infatti, sembrano puntare più sulle opportunità di crescita e redditività. Mentre, gli accordi nazionali si concentrano di più sulle sinergie che le aziende possono sfruttare per snellire i processi nazionali esistenti, come il taglio dei costi, l'ottimizzazione dei canali di distribuzione potenzialmente sovrapposti e lo stesso per le funzioni centrali. (Emter, Schmitz e Tirpak, 2018).
Quando si mette l'Italia a confronto con altri paesi e le loro industrie bancarie, è visibile che le banche italiane tendono ad essere più esposte al rischio dei mercati emergenti e dei derivati. Soprattutto l'alta esposizione al rischio dei derivati è stata evidente durante la crisi del debito sovrano nel 2011. Le città e i comuni italiani, infatti, hanno acquistato prodotti finanziari altamente sofisticati e poi hanno avuto difficoltà a ripagare il loro debito e per coprire o abbassare i loro pagamenti di interessi hanno stipulato accordi di swap, che in alcuni casi hanno anche aggiunto altri prestiti (più debito) che non erano in grado di ripagare.
Se guardiamo al mercato bancario italiano negli ultimi tempi, il settore M&A si è tenuto occupato.
Nel 2015, il valore delle operazioni di M&A cross border in Italia ha raggiunto un nuovo massimo a oltre 50 miliardi di dollari (Romei, 2016). Inoltre, analizzando i dati (Statista, 2022), nel 2016 ci sono stati 471 deal di M&A domestici e 425 cross border. Rispetto ai dati più recenti del 2019, il numero di accordi nazionali è definitivamente più alto rispetto a quelli transfrontalieri, 493 a 372 (Statista, 2022). Tuttavia, il trend sembra essere esploso l'anno scorso, durante la pandemia, con cifre che rappresentano un aumento annuale del valore dei deal del 144%, del volume dei deal del 30% e delle transazioni del 60%, un incoraggiante inizio per il settore nel 2021.
Due buoni esempi di questa tendenza sono il caso UBI-Intesa e quello MPS-Unicredit.
Il primo è avvenuto il 12 aprile dell'anno scorso, vedendo due delle maggiori banche del mercato italiano fondersi. Intesa San Paolo, infatti, lanciò a tutti i clienti, dopo l'autorizzazione della CONSOB, un'offerta pubblica di scambio molto vantaggiosa sui titoli UBI, 10 titoli UBI per 17 di Intesa, che riscosse un enorme successo tra gli azionisti interessati. Tuttavia, la fusione di UBI banca fu divisa tra Intesa San Paola e BPER BANCA che acquisì 630 filiali delle oltre 1000, coinvolgendo più di 2,4 milioni di clienti.
A dicembre, invece, sono iniziate le voci di una possibile fusione tra UniCredit e MPS, due colossi bancari italiani, a causa di un urgente bisogno di ricapitalizzazione di una delle poche banche a partecipazione pubblica. Con le dimissioni di Mustier all'orizzonte, che sarebbero avvenute in aprile, UniCredit era alle prese con la scelta di un nuovo amministratore delegato mentre MPS tornava al 2013 con perdite previste per la fine del primo trimestre di quell'anno pari a circa un terzo del patrimonio totale. La situazione è ulteriormente peggiorata fino a raggiungere un miliardo e mezzo all'inizio di quest’anno.
Mentre il ministero dell'Economia, detentore del 68,28% delle azioni di MPS, era propenso ad acquisire i 14 miliardi di NPL da Unicredit, Bisoni, al tempo presidente di Unicredit, ha sottolineato che il consiglio non approverà un'operazione che non sia vantaggiosa per gli azionisti e per il gruppo UniCredit. L'accordo di acquisizione è ancora sul tavolo, dato che MPS è sotto il governo italiano, il che rende la trattativa ulteriormente complicata.
Tuttavia, anno nuovo, nuovo deal: quello tra BPER e Carige. L'accordo è stato approvato lo scorso gennaio dalle autorità bancarie italiane, la cui dimensione è di circa 880 milioni di euro, 530 dei quali verrebbero utilizzati per ricapitalizzare Banca Carige.
Con questo nuovo accordo, si creerebbe un terzo polo bancario, quello di BPER accanto a Intesa San Paolo e Unicredit.
Nel complesso, non si sa come si evolverà il mercato bancario nei prossimi cinque-dieci anni. Quello che sembra certo è che i principali attori del settore si contano sempre più sulle dita di una mano, accentuando un fenomeno di concentrazione.